Vivere in una comunità richiede impegno e maturità. L’impegno
è una questione di volontà, la maturità di esperienza. La volontà deve esserci,
la maturità si acquisisce con le esperienze. Una comunità è di certo
catalizzatrice di esperienze, perciò possiamo dire che se c’è l’impegno, la
maturità giunge.
Uno dei punti fondamentali che contraddistingue lo sviluppo
di una figura dirigenziale, è la capacità di distinguere tra i problemi
personali ed i problemi collettivi. Quando il collettivo ed il personale si
mescolano la soluzione dei problemi diventa dolorosa e tragica, perché c’è
sempre qualcuno che si trova a pagare per conto di qualcun altro.
Che piaccia o meno, nel nostro settore il personale ed il
collettivo capita che si mescolino. I motivi principali sono cinque: innamoramenti,
sesso, soldi, immagine e prestigio. A causa di questi fattori le persone
immature cominciano a mentirsi, a dissimulare, a dire una cosa per un'altra,
propagandare mezze verità, seminare zizzanie, nutrire invidie, gelosie,
rancori, meditare vendette, ed a fare buon viso a cattivo gioco…in breve…la
collettività diventa un luogo pesante, finto ed indegno di fiducia.
Se l’individuo non fa delle scelte radicali per arginare
questi comportamenti, diventa un agente di contagio, un untore, e si ritrova
invischiato nel vortice del pettegolezzo. Tutto si riduce ad un puttanaio. Ad
una cloaca di meschinità.
La tendenza non dichiarata a questo punto è la formazione di
collettività di consenso o di dissenso a qualcosa o qualcuno, dove si osserva
la disdicevole abitudine a ridurre la complessità del reale al semplice “o
amico o nemico”. Questa barbarie gratuita, capace di negare e reprimere mondi
di sentimenti, ed attuata all'unico scopo di compiacere il bambino ferito che è
in noi, spinge la società a trasformare i collettivi in istituzioni del torto,
il quale diventa l’unico linguaggio possibile. Ecco che qualsiasi azione
compiuta da un collettivo risulterà come “subire un torto” da parte di un
altro. Il risultato sociale che se ne avrà sarà l’istituzionalizzazione del
torto, il torto come forma di governo di una massa di individui ridotta a
puntarsi il dito contro.
Ci sono individui che si sollazzano piacevolmente in questa
miserabile realtà, altri che delusi, nauseati, sfiduciati si ritirano nelle
proprie quattro mura domestiche, finendo col disinnescare la magia della
propria vita. Altri ancora invece reagiscono e mettono in guardia, tentano di
costruire realtà alternative, e trovandosi a contatto con la vecchia dinamica
del torto, prendono delle contromisure radicali. Chi si sollazza ha due
possibilità: la prima, aizzare contro coloro che reagiscono tutto il mondo
del “dito e del torto” con la demagogia della democrazia, facendoli apparire
come dittatori; la seconda, cercare di vigilare su di sé per individuare le
proprie ferite di bambino e la propria tendenza a battere i piedi a terra per pretendere
ciò che reputa gli sia stato tolto, innescando un meccanismo che è invece
intrinsecamente democratico (e non demagogico), cioè quello della
responsabilità di se stesso. È solo a questo punto che si aprirà per lui la
possibilità di abbandonare la tendenza alla vendetta e ad altre contorte forme
di soddisfazione per passare al riconoscere una dignità ai bisogni propri ed a
quelli di chi lo ha ferito, senza paragonarli ad astratte moralità (per quanto
socialmente accettabili). Ed è in seguito a ciò che l’adulto che è in lui sarà
capace di lasciare andare alle sue spalle ciò di cui non ha più bisogno, per
lasciare spazio a ciò che può gratificarlo più pienamente. Solo individui così
maturi possono generare una collettività degna di questo termine.
Ci vuole impegno e maturità…è un appello.
Il presidente
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