mercoledì 27 febbraio 2013

Corso amatoriale di Shiatsu

Martedì 5 Marzo 2013, dalle ore 15:00 alle ore 17:00, inizierà il CORSO AMATORIALE DI SHIATSU. Lo shiatsu proposto all'associazione Mana rivolge particolare attenzione allo sviluppo della sensibilità e dell'ascolto energetico. Nel corso delle 24 ore complessive del corso si esploreranno tecniche di stiramento dei meridiani, tecniche di autoshiatsu, ed alcuni katà di approccio a questa articolatissima pratica. Dal punto di vista teorico si getteranno le basi per la comprensione della Medicina Tradizionale Cinese.

Il corso si svolgerà con cadenza settimanale, tutti i martedì dalle 15:00 alle 17:00, fino al raggiungimento delle 24 ore previste.

Per gli iscritti a Mana il costo sarà di 200 euro, mentre per i non iscritti di 235 euro.

Info e prenotazioni: ciaomana@gmail.com - 380 239 8524


GRAZIE

martedì 26 febbraio 2013

Stage di Aiki shin taiso

Aiki Shin Taiso


L'Aiki shin taiso è una disciplina di sviluppo personale fondata sulla presa di coscienza. Ginnastica d'armonizzazione dell'energia, alterna posture, marce, movimenti, meditazioni, creando un linguaggio strutturato che si adatta alle nostre coscienze, sia mentali che corporee.
L'Aiki shin taiso, equilibrando le energie interne ed esterne, permette un buon funzionamento dell'individuo, sul piano fisico, fisiologico e psichico.
Il praticante di aiki shin taiso nel volgere di alcuni mesi constata cambiamenti importanti del proprio corpo che, reso più saldo, sciolto, energico e sensibile, diviene uno strumento di comunicazione attivo, tanto con se stessi che con gli altri, oltre che con la sfera materiale e umana.
Le capacità d'azione, decisionale, di percezione sensoriale e intuitiva, di cogliere emozioni, aumentano considerevolmente mediante la pratica quotidiana.

Domenica 10 Marzo 2013, in via Misurina 1 a Mestrino (PD), presso la sede dell'associazione MANA, il Maestro di Aikido ( 5° dan) ed Aiki Shin Taiso Marco Favretti, terrà un seminario teorico pratico di Aiki Shin Taiso, dalle 9:00 alle 12:30 e dalle 14:30 alle 16:30.
E' necessario munirsi di un abito comodo o di un dogi per arti marziali.


Per i tesserati Mana, Uisp, CSI e Libertas, il costo sarà di 55 Euro, mentre per gli esterni sarà di 90 euro.
Info - segreteria: 380 239 8524 - ciaomana@gmail.com

Per iscrizioni potete contattarci od effettuare un bonifico a MANA A.S.D.
IBAN: IT91 U076 0112 1000 0101 1082 656

ED INVIARE UNA MAIL DI AVVENUTO PAGAMENTO A
ciaomana@gmail.com

LE ISCRIZIONI ED I PAGAMENTI DOVRANNO ESSERE EFFETTUATI ENTRO E NON OLTRE GIOVEDI' 7 MARZO 2013

GRAZIE

venerdì 22 febbraio 2013

VINCERE IL DOLORE E RICOSTRUIRE LA STABILITÁ


  • Per quali ragioni, fra le storie di noi istruttori, si possono riscontrare relazioni così travagliate e dolorose fra maestro ed allievo?
  • Cosa avevamo bisogno di imparare?
  • Che caratteristiche avevano le persone che si sono poste nei nostri confronti con il ruolo di Maestro, o di Insegnante?
  • Sapevano entrare ed uscire con chiarezza dal loro ruolo, o il confine era talmente sbiadito da non consentirci di capire esattamente quando era il momento di relazionarsi col maestro, l’insegnante, e quando ci trovavamo invece di fronte all’uomo, all’amico?
  • Cosa traevano questi siffatti maestri da questo labile confine, e cosa invece ne traevamo noi?
  • Quanta confusione ha prodotto, dentro di noi, questa promiscuità di ruoli?
  • Quanti sensi di colpa o di debito?
  • Quanto ci siamo sentiti feriti e quanto ci siamo arrabbiati con noi stessi, quando ci siamo accorti che, dietro alla promiscuità e la confusione tra i ruoli di maestro, uomo, guerriero ed amico, c’era in realtà una persona irrisolta, risultante molto meno che un maestro, molto meno che un uomo, molto meno che un guerriero, ma cosa più dolorosa di tutte, molto meno che un amico?
  • Abbiamo capito fino in fondo la lezione? 
  • Abbiamo realmente compreso con quali linguaggi possiamo scandire chiaramente, agli occhi dei nostri allievi, il momento in cui entriamo dentro ad un determinato ruolo, segnalando senza equivoci quale sia l’atteggiamento corretto che devono assumere, nel contesto, nei nostri confronti?
  • Se la risposta è no, che cosa ricaviamo da questa promiscuità?
  • Perché ce la concediamo?
  • Cosa perpetriamo con essa?

Molti operatori della crescita personale, della riscoperta di sé, delle arti orientali, le marziali soprattutto, hanno una storia di formazione molto travagliata e dolorosa: i maestri sbroccano, le federazioni come le associazioni ed infine le persone stringono accordi, immaginano grandi evoluzioni, grandi crescite, ma poi litigano, tutto si sfalda, ognuno ritorna a pensare per sé e, svilito dalla frustrazione delle collaborazioni, si permette d’interpretare alla “para su che tonesa” arti che hanno una tradizione millenaria. Gli allievi si ritrovano con tutte le problematiche che ci sono nei bambini cresciuti dentro famiglie conflittuali.

In una società dove gli scismi sono all’ordine del giorno, dove il legante che mantiene sana una relazione è annacquato dal pluralismo delle nevrosi, diventa difficile, per l’individuo, riconoscere la propria condizione di insicuro.

Nel migliore dei casi l’insicurezza conduce l’individuo ad una contorta ricerca di stabilità, che viene prontamente frustrata fino al momento in cui, l’individuo stesso, decide di trasformarsi nella base stabile che non ha trovato da nessuna parte nel mondo. L’individuo si sforza di diventare un punto di riferimento per se stesso e per gli altri. Una nobile intenzione che poggia le sue gambe su un terreno instabile. La formazione non è completa.

  • Quanto può reggere una base ancorata su un terreno insicuro?
  • Chi, fra gli uomini insicuri che si cimentano nell’insegnamento, si è mai chiesto se c’è un legame fra la loro insicurezza di fondo e l’atteggiamento confidenziale che mantengono con gli allievi durante le loro lezioni?
  • Chi, fra gli insegnanti insicuri, si è mai chiesto se la loro necessità di avere un rapporto informale con i propri allievi, non sia un bisogno dettato dall’insicurezza, dalla mancanza di strumenti per fornire un linguaggio sufficientemente complesso da permettere agli studenti non solo di fare dei progressi in direzione dell’insegnante, ma anche di progredire senza perdere la loro direzione?
  • Chi, fra gli insegnanti insicuri, si è mai chiesto se quella confidenza non sia il loro modo di esorcizzare l’insicurezza e di mettersi al sicuro?
  • Chi ha il coraggio di addentrarsi in questa insicurezza, di starci dentro, e di cercare di cambiare i propri schemi per guarirla, facendo in primis un outing, di dichiararsi costi quel che costi, come insegnante insicuro?

Può diventare molto difficile farlo e riconoscere fino in fondo la propria sofferenza interna, quando ci si pone come guida per gli altri, in un mondo così competitivo dove l’immagine, la crosta, fa da biglietto da visita.

È cedendo a questo condizionamento che si perpetuano i danni. Perché arriva un momento, quando decidi di diventare il punto di riferimento per definizione, in cui l’occasione di auto guarirti giunge, giunge sotto forma di relazione, ma per coglierla fino in fondo devi saperti staccare dal ruolo di guida per gli altri, e di riconoscere che lo hai costruito per scappare dalla sofferenza celata dentro l’insicurezza.

Abbiamo bisogno di imparare a rinunciare ai nostri ruoli di fuga da noi stessi per poter svolgere proficuamente il nostro ruolo di sostegno per il prossimo, e paradossalmente, i ruoli di sostegno al prossimo possono essere la fuga perfetta.

Se indulgiamo sulle nostre code di paglia, se non ci sappiamo tuffare in quelle situazioni che mettono in discussione il modo in cui ci relazioniamo ed in cui insegniamo ai nostri allievi, se non sappiamo nuotarci dentro costruendo schemi in grado di trasportarci da un ruolo all’altro chiaramente, consentendoci non solo di essere rispettati dai propri allievi, ma soprattutto di rispettarli, allora non ci accorgiamo che la nostra superficialità sta ordinando al cameriere molto dolore, e dopo che lo avremo mangiato, il ristorante chiederà il conto. Se riusciremo a pagare ci rimarrà il compito di digerirlo.

Ora ci sono insegnanti che gestiscono talmente male la migrazione tra i diversi ruoli della loro vita, che si sono convinti che la vita stessa non sia molto di più che una indigestione di dolore e, signore e signori, questa è la catastrofe dei posteri. La responsabilità di un insegnante è enorme, perché enorme è il potere che in mano ha.

Questi insegnanti che abusano dei loro allievi adulandoli oppure mortificandoli, o peggio ancora con un mix confuso delle due azioni, quando è tempo di mettersi in discussione dicono “non ho tempo”, e quando si rivolgono ai loro allievi dicono frasi quali “Sei una persona che ha delle qualità”, “Questo è un ambiente in cui puoi crescere”, “Qui non c’è competizione ma c’è aiuto reciproco”, “Bisogna essere trasparenti (ma parla per gli allievi naturalmente)”, “Non starò bene fino a quando non ti vedrò realizzato”, ed ipocrisia delle ipocrisie: “Non sono il maestro di nessuno”. Queste frasi sono il modo in cui trasformano l’allievo nel farmaco adatto all’accanimento terapeutico per il loro agonizzante ruolo d’insegnante, guida, maestro o giù di lì. In realtà sono in mutande, ma esercitano la negazione come metodo, quindi portano avanti un intrinseco autolesionismo (mai sradicato) che ha lo stesso sapore dell’anticapitalismo che beve Coca Cola.

Se in qualità di insegnanti fossimo capaci di ammettere la nostra insicurezza, la nostra instabilità interiore, potremmo continuare ad insegnare le tecniche apprese senza vendere false aspettative in chi ha ancora più bisogno di stabilità di noi. Inoltre, con la presa di coscienza, avremmo la possibilità di continuare a lavorare su noi stessi. Al contempo la chiarezza offre la possibilità all’allievo di scegliere se affidarsi totalmente al nostro sapere od integrarlo con altro. Solo attraverso questa onestà e questo rispetto la stima tra maestri ed allievi può crescere nel tempo.

Senza questi atti di umiltà inseriti nei piccoli gesti quotidiani, non nei grandi, o non solo, il nostro ego non troverà mai il coraggio di inchinarsi a chi può offrirci lo schema, la struttura della stabilità di cui abbiamo così profondamente bisogno. Ciò accade perché a contatto con la stabilità percepiamo la nostra insicurezza ed il nostro dolore, ed è più facile fuggire in un ruolo vecchio e conosciuto per sentirci rassicurati, che addentrarsi nelle zone più fastidiose di noi stessi e reinventarsi scientemente. Maestro od allievo è una questione relativa, una questione di gradi, siamo tutti in qualche modo maestri ed in qualche modo allievi, se siamo abbastanza umili e coraggiosi da voler imparare per tutta la vita. Se questa umiltà e questo coraggio vengono fuggiti di fronte a chi è più stabile di noi, di fronte a chi parla un linguaggio più chiaro del nostro, per quanto ci sforziamo di recitare la parte dell’ ALTERNATIVA, non saremo né più né meno che i ripetitori dei dolori che abbiamo subito.

Pensare che aver subito un danno ci abbia candidato alla guarigione è un inganno sottile. Solo la coscienza, la consapevolezza ti guarisce. Subire un danno ti segnala la presenza di una violenza ma…

  • …dov’è il corrispettivo di quella violenza, dentro di noi?
  • Chi la sta esercitando?
  • Chi ci abita?
  • Chi o cosa ci ha condizionato?
  • Vogliamo guarire la distruttività o vogliamo tenercela com’è?
  • Vogliamo distruggere o vogliamo creare? 
  • Vogliamo crescere o continuare a scimmiottare i guerrieri dei films, aiutando altre persone ad illudersi?
La fenice ha la capacità di risorgere dalle proprie ceneri, ma quando la si confonde con il proprio ego essa diventa la scusa per tenercelo stretto. Eppure senza combustione non c’è cenere ne resurrezione, solo il dolore e l’ostinazione della fuga che si spacciano per un mito. Tutto è travisato: il fuoco della coscienza diventa il fuoco dell’orgoglio, e invece di bruciare la forma esterna della fenice, per consentirle di crearne una nuova più adatta alla sua coscienza rigenerata, esso arde di paura, rabbia, ira, odio, dolore, insicurezza. La fenice dell’ego che risorge dalle ceneri del dolore. La mediocrità travestita da guerriero, la sua caricatura. E cosa potrebbe mai nascere da una negazione inconsapevole, se non la conferma si sé stessa?

A 33 anni e mezzo mi ritrovo ad interpretare diversi ruoli ed a fare outing come insegnante insicuro, ed è per questa ragione che da quest’anno trasferisco la priorità dallo Shiatsu all’Aikido ed all’Aiki Shin Taiso, per quanto riguarda la mia di crescita personale. Molti si sentono a disagio con la forte ritualità di queste discipline, poiché vedono in essa una forma di sottomissione. Ma è l’insicurezza a fare apparire le cose in termini di superiorità od inferiorità. In Aikido l’etichetta è una questione di linguaggio, di ruoli, e soprattutto di rispetto…profondo profondissimo rispetto. Questo rispetto produce stabilità che a sua volta fornisce la base insostituibile di qualsiasi forma di guarigione. È nella stabilità che le nostre tensioni psicocorporee possono sciogliersi ed offrirci un rigenerato modo di relazionarci a noi stessi ed al prossimo. Ringrazio con tutto il cuore i Maestri Marco Favretti e Paolo Salvadego per la piacevolissima chiacchierata di lunedì sera; li ringrazio per le loro risposte, ed in particolare ringrazio il Maestro Salvadego per le sue domande. È grazie a quelle domande che ho potuto rompere gli indugi nel riconoscere che, dopo tanta fatica, tanti anni di studio, tanti soldi spesi, bisogna dare una rafforzata alle fondamenta prima che il castello vada troppo in alto.

Gli istruttori di arti marziali che operano a Mana li conosco, in alcuni casi abbiamo condiviso un buon numero di anni decorati dai casini più deliziosi che la complessità umana sappia generare, e mi avrebbe fatto molto piacere vederli partecipare a questa lezione di così alto livello e totalmente gratuita. Non l’ho preteso e non ho insistito perché una forzatura avrebbe provocato una distorsione del messaggio. Mi sarebbe piaciuto che partecipassero come amico, perché voglio loro bene, perché so da dove veniamo e so dove potremmo andare se certi nodi venissero sciolti. Avrei voluto che partecipassero come presidente dell’associazione, perché essendone il responsabile è mio compito dare una indicazione di qualità, e l’Aikido proposto in questa sede lo è. Avrei voluto che partecipassero come atto concreto di fiducia nei miei confronti, dato che nei momenti di difficoltà e di lacrime mi è stato chiesto qualcosa che sconfinava dall’aiuto e dal consiglio. E qui avrei bisogno di discutere per capire con quale ruolo dovrei trovare la giusta distanza per certe richieste. Ma se temporaneo, anche l’aiuto che il guerriero rifiuta di dare a se stesso può essere amato ed accolto. Purché il guerriero si mantenga vigile sulle parti del proprio corpo che sono abitate da altri che se stesso, purché sappia tornare ad entrare nel proprio corpo con la coscienza per evitare di trasformarlo in un blocco di muscoli sempre più rigido.

In fin dei conti son sempre fresche le parole del dialogo tra il maestro Yoda ed il giovane Anakin Skywalker (futuro Darth Vader).

Y: Paura di perderla tu hai!
A: Che centra questo?
Y: Con tutto centra. La paura è la via per il lato oscuro, la paura conduce alla rabbia, la rabbia all’ira, l’ira all’odio, e l’odio conduce alla sofferenza. 

Le arti marziali dovrebbero condurre a vincere la paura, ma non la paura dei grandi pericoli e nemici esterni, ma delle nostre debolezze interne. Senza la spietatezza della dolcezza, il nostro cuore è perduto. Cor-aggio!

lunedì 18 febbraio 2013

FALLIMENTI MONUMENTALI

Ci sono ostentazioni che servono a togliere visibilità all'insicurezza. Ed è in queste circostanze che l' "IMPEGNARSI" più duro non riesce ad andare più in là di un ben addobbato "VANEGGIARE". Il culmine del successo allora si riduce alla realizzazione di un'isteria collettiva, che i vaneggiatori più impegnati trasformeranno in un marchio. NOBILITARE LA MENZOGNA ED IL DISCONOSCIMENTO DI SÉ è l'attività principale di chi non riesce a smettere di ridurre il senso più profondo della propria vita ad una frustrante VITTORIA DI PIRRO. É un peccato: la vita offre doni in abbondanza per crescere, e loro si preoccupano di come salvare le apparenze.

venerdì 15 febbraio 2013

Aikido, Paolo Salvadego Shihan, Lunedì 18 febbraio 2013, Mestrino PD

É con immensa gioia che ho appreso, dal Sensei Marco Favretti, che lunedì 18 febbraio 2013, dalle ore 19:30 alle ore 21:00, la lezione di Aikido sarà tenuta da Salvadego Paolo Shihan. É una bellissima sorpresa che giunge nel fine settimana, e non avrà il tempo materiale di arrivare a molte persone. É perciò un'occasione molto speciale per chi volesse incontrare l'aikido con la certezza di vederlo proposto da un alto livello di competenza, sia che si tratti di appassionati delle arti marziali, sia cultori di pratiche bioenergetiche, sia profani curiosi di conoscere.

Paolo Salvadego Shihan

Nato nel 1954, pratica l’aikido dal 1969 e dal 1985 segue gli insegnamenti del Maestro Andrè Cognard grazie al quale si avvicina alla figura di Kobayashi Hirokazu Soshu  per il quale organizza alcuni stage a Venezia.
Nel settembre 1989, su indicazione dello stesso Maestro Kobayashi Hirokazu, crea l’Accademia di Aikido e Cultura Tradizionale Giapponese.
Nel 1998 riceve l’onore di essere tra i membri fondatori della Kokusai Aikido Kenshukai Kobayashi Hirokazu Ryu Ha.
Attualmente Nanadan (7° dan), Paolo Salvadego è in possesso del titolo di Shihan della Kokusai Aikido Kenshukai e del titolo di Kyoshi conferito dalla Dai Nippon Butokukai, dalla quale ha ricevuto l'incarico di organizzatore ufficiale, per l'Italia, della Kobayashi Hirokazu Ryu Ha.
Oltre che a dirigere l’Accademia di Aikido e Cultura Tradizionale Giapponese, Salvadego Paolo Shihan organizza stage di aikido e Aikishintaiso per il suo Maestro Andrè Cognard ed è stato chiamato a tenere stage di aikido in Italia ed altri Paesi europei ed extraeuropei.
Con l’autorizzazione del Maestro Andrè Cognard dirige stage e atelier di Aikishintaiso.

venerdì 8 febbraio 2013

messaggio al cuore dal mondo dell'arte.

CORPO, MENTE E SPIRITO. MA SENZ'ARTE, LA DISCIPLINA SI RIDUCE A RIGIDITÀ. Ecco a voi un piccolo rimedio.

mercoledì 6 febbraio 2013

La scarsità come condizionamento sociale

  Miseria e frustrazione sono matrici capaci di creare, mantenere, espandere e replicare emozioni in grado di sconnettere l'individuo dal suo io più profondo e dalla fonte di energia spirituale, lasciandolo in PREDA agli stimoli esterni.
Più o meno aprivo così il capitolo “La decadenza sistemica” del libro “Il nuovo spirito dell'attivista”. 


  • Che cosa significa quando un individuo è in preda agli stimoli esterni?
  • Come si diventa preda di uno stimolo esterno?   
  • Come fa uno stimolo esterno a diventare predatore?   Cosa si mangia quel predatore?
  • Chi o cosa è capace di concepire un predatore feroce al punto da rappresentare validamente la violenza, di chi sceglie di finire fra i suoi denti pur di non riconoscersi allo specchio?
  • Chi riesce ad ipotizzare che essere preda sia una scelta inconscia, una strategia sottile, per darsi il permesso di negare l'esistenza dei propri denti aguzzi, artigli affilati, e desiderio di cannibalismo?
  • Chi è capace di accorgersi che le prede nascondono certe realtà dentro sé, perché è esattamente là che esse stesse non andrebbero mai a cercare?
  • Chi è capace di guardare a ciò che ormai è considerato come comportamento quotidiano, popolare, condiviso dalla società, come ad una delle più contorte perversioni che si siano mai viste sulla faccia del pianeta?
  • Chi è capace di cominciare a vigilare su se stesso e continuare a farlo giorno dopo giorno, senza cedere ai quotidiani tentativi del circostante, di convincerci che in fondo “mal comune mezzo gaudio”, che siccome “così fan tutti”, che “dal momento che l'economia è legge”, sia maturo diventare parte integrante ed integrata di questa perversione?
  • Chi è capace di rispondere quotidianamente a questa perversione istituita a legge, senza sviluppare delle nevrosi in grado di sabotare la genuinità del suo relazionarsi con il prossimo, e senza sviluppare delle ideologie o contrazioni dello spirito che lo spingono a semplificare i rapporti in due macrocategorie: o amico o nemico?

Magari un giorno ne fosse capace l'uomo comune, il cittadino! Magari ci fosse una società intera di cittadini in grado di rispondere in modo veritiero a queste domande! Magari la società fosse capace di guardarsi allo specchio! Magari ci fosse una civiltà in grado di comprendere profondamente il valore spirituale della RELAZIONE, della DIVERSITA', del RAPPORTO CON L' ALTERITA' cioè con ciò che è diverso da sé! Magari si comprendesse fino in fondo come tutto ciò sia INTRINSECAMENTE LEGATO con la crescita personale! Solo allora, probabilmente, si potrebbe parlare con ragione di CIVILTA'!

Ma in una società che è intrinsecamente BARBARA, dove gli stessi PROMOTERS della crescita personale devono scegliere se dare la priorità al valore più profondo della relazione, o a quello della parcella che dà loro la pagnotta, in una società dove per sopravvivere si è obbligati a scegliere la seconda opzione, e la parola scelta è solo il suono che maschera il condizionamento beh…per i PROFESSIONISTI DELLA CRESCITA PERSONALE è d’obbligo essere profondamente consapevoli dei condizionamenti ai quali non hanno il potere di sottrarsi, ed anche di dichiararli al cliente. E’ una questione di qualità.
Il condizionamento dal quale nessuno può sottrarsi è la scarsità. Quindi chi si occupa di crescita personale DEVE fare i conti con miseria, frustrazione e scarsità. Pensare di lasciarsele alle spalle, e continuare ad aiutare gli altri, è una mera illusione, perché chi ha bisogno d’aiuto vive queste condizioni, e chi aiuta veramente deve comprendere prima il punto di vista di chi è bisognoso d’aiuto, e poi offrirne uno nuovo, non viceversa. La comprensione di un punto di vista non può essere solo una questione concettuale e di linguaggio verbale, necessita di compassione. Non parliamo della compassione che compatisce, ma della compassione di chi è capace di immedesimarsi nelle emozioni dell’altro. C’è differenza tra compassione e buonismo. La prima onora la relazione, il secondo la parcella.


Nella cosiddetta relazione d’aiuto inoltre: 

  • dov’è il confine tra aiutante ed aiutato? 
  • Se quel confine c’è, chi o cosa lo traccia? 
  • A quale scopo?
  • Quello scopo da cosa è legittimato?  

Molte persone fanno i terapisti e cercano nei clienti i blocchi energetici che li frustrano e li rendono dominati da qualcosa o qualcuno: un trauma, una situazione irrisolta, un problema non elaborato bene. La negazione di una ferita, di un dolore, o della superficialità con cui perpetriamo atteggiamenti dannosi per il prossimo, perché ci danno da mangiare, da sopravvivere; è un’autolimitazione talmente funzionale che neanche un PROFESSIONISTA DELLA CRESCITA PERSONALE riesce ad individuala dentro sé. Spesso non riesce a trovarla proprio perché si considera così: PROFESSIONISTA.  


  • Se per essere PROFESSIONALI siamo costretti a delle negazioni, chi o cosa ci manipola? 
  • Di chi o cosa siamo schiavi?
  • Se per fare i PROFESSIONISTI DELLA CRESCITA PERSONALE ci costringiamo a negazioni su noi stessi e sul nostro comportamento, chi o cosa ci spaventa al punto da farci fingere che non esista?  


Ognuno può tentare di dare le sue risposte, io provo a proporne un poche: Quando un individuo è preda degli stimoli esterni significa che ha paura di sé stesso, che non riesce a riconoscersi per come effettivamente è. La distorsione esistente fra come egli è realmente e come si percepisce è talmente alta da renderlo dipendente da persone, eventi, situazioni, cose e prodotti che possono continuamente riconfermare quell’immagine che la persona ha e vuole avere di sé stessa. Quell’immagine è in perenne evanescenza, instabile, insicura, perché fittizia, un vero e proprio ologramma dello spirito nato dalla rinuncia all’esplorazione del proprio centro, dalla dimenticanza della propria forza interiore. Figuriamoci se in una condizione simile l’individuo può riuscire a vedere nell’alterità un’occasione di rinnovo e trasformazione dell’identità. 
Se gli stimoli esterni sono perenni, violenti, e tolgono lo spazio per il silenzio, la calma, la pace, la tranquillità, la lentezza, se spezzano le idee in pensierini talmente frammentati e superficiali da non saper scalfire neanche le apparenze del fondo tinta di Emilio Fede, allora quegli stimoli diventano predatori del nostro senso della vita. Se quegli stimoli esterni ci frammentano il pensare al punto da toglierci la capacità di essere consapevoli di come la scarsità ci sta rendendo TUTTI degli esasperati all’inseguimento del denaro (tanto o poco non fa differenza), allora la nostra anima è già tra i denti del predatore e, le nostre PROFESSIONALITA’, sono gli alibi irrinunciabili di chi ha bisogno di negare il proprio spirito, per poter reggere di fronte alle proprie azioni quotidiane. Se potessimo osservare le azioni che facciamo tutti i giorni, con la consapevolezza olistica del nostro spirito, ci vergogneremmo di noi stessi. D’altro canto, se decidessimo in favore di un rovesciamento di tendenza, ci renderemmo immediatamente conto dei giganti ostili, dei quali le dimensioni ci farebbero perdere la fiducia che sia possibile cambiare il mondo, nonostante la loro presenza. Così, bloccati tra la vergogna e la paura, ricacciamo il nostro spirito nel nostro oblio interiore e tiriamo avanti, raccontandoci le scuse più disparate, ma la verità è che nella sfiducia di poter contribuire ad un cambiamento collettivo, abbiamo rinunciato a rinascere dalle  nostre ceneri. Dovremmo recuperare il coraggio di lasciare che la consapevolezza più profonda che abbiamo incenerisca le false immagini di noi stessi, ed è interessante che, solitamente, tale possibilità sia facilitata dalla relazione, e da un sano atteggiamento nei confronti della stessa.  


Tutti i confini che vengono tracciati tra amico e nemico, tra preda e predatore, tra cittadini e governanti, tra bene e male, tra buoni e cattivi, tra cultura e barbarie, tra democrazia e dittatura, tra terapista e cliente, sono confini funzionali a trasformare spiritualità e relazione nell’ennesimo stimolo esterno, ennesimo surrogato, ennesimo prodotto. Questo ricatto dell’era del mercato, della vetrina e della mercificazione non aiuta a comprendere che tutti questi estremi sono lati di un’unica medaglia, sintomi di un’unica malattia collettiva della quale siamo tutti inconsapevoli agenti, e quella malattia si chiama ASSENZA DI SPAZIO, ovvero VIOLENZA.
Nel disperato tentativo di promuovere ciò che personalmente riteniamo sia BENE, e di difenderlo da ciò che personalmente riteniamo MALE, togliamo spazio ai conflitti tra le diversità, che in questo modo non riescono ad esprimere pienamente la propria visione del mondo e, come conseguenza, non possono neanche offrirci la possibilità di integrarla. Siamo stati tutti educati ad identificarci nei nostri sistemi di valori, e ci sentiamo legittimati a chiudere gli altri in anguste scatolette ed etichette ogni qualvolta riteniamo che difendere quei valori sia BENE. Il nostro senso d’identità è costruito in modo talmente superficiale che non ci accorgiamo di difendere quei valori perché ci sembrerebbe di morire perdendoli. Tutte le nostre fedi, le nostre visioni del sovrasensibile, i nostri veggenti ed illuminati, tutte le lauree, i corsi e gli attestati, non servono però ad evitare gli esiti scontati di questo malcostume, che rappresenta degnamente il valore dell’occidente, lo zeitgeist, la tendenza: mancanza di spazio per il conflitto creatore, incapacità di relazionarsi serenamente con l’alterità, difesa di surrogati d’identità e difesa del territorio, scarsa presenza del proprio spirito. In una parola: macrostress.